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La finestra del palazzo di fronte? Almeno a dieci metri!

In materia di distanze uno degli argomenti più importanti e purtroppo frutto d’innumerevoli contenziosi è - sicuramente - la disciplina delle distanze tra le pareti finestrate di edifici fronteggianti stabilita dall’art. 9 del DM 1444/1968, che impone la distanza minima assoluta di dieci metri

Ma perché il rispetto di tale distanza è così importante? Perché su tale argomento sia  giudici civili, che amministrativi hanno dovuto pronunciarsi in svariate occasioni? 

La risposta sta proprio nella funzione dell’art. 9 DM 1444/1968. La prescrizione non è infatti volta alla tutela della riservatezza – come talvolta si crede - bensì ad evitare che si creino intercapedini nocive tra le costruzione. La norma è dunque a salvaguardia di imprescindibili esigenze igienicosanitarie e tale scopo la rende imperativa e inderogabile: essa non può essere violata dai privati, ma neppure può essere modificata da Leggi Regionali o da strumenti urbanistici locali ( e ogni tentativo in tal senso da parte di Regioni o Comuni è stato rispedito al mittente “in malo modo” dal Consiglio di Stato!). 

Va precisato che la distanza minima di dieci metri è richiesta anche nel caso che una sola delle pareti fronteggianti sia finestrata ed è altrettanto indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell´edificio preesistente, essendo sufficiente, per l´applicazione di tale distanza, che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio. Ovviamente tale imperatività, da un lato porta che i giudici ne fanno una rigorosa applicazione, dall’altro che non vi possono essere applicazioni estensive del precetto e pertanto il disposto va, sicuramente, rispettato ma solo nei casi tassativamente indicati. 

Cosa significa parete finestrata? 

Sul punto la Corte di Cassazione è stata assolutamente esaustiva affermando: “ai fini dell'applicabilità della distanza di cui al citato D.M., tenuto delle finalità perseguite dalla disposizione, è necessario che almeno una delle pareti dei due edifici che si fronteggiano sia munita di aperture aventi le caratteristiche di vere e proprie vedute, così come definite dall'art. 905 c.c., parte seconda" (Cass. 19092/2012). Anche il Consiglio di Stato conferma detto orientamento e dice: “la regola del rispetto della distanza dei dieci metri, di cui all'art. 9 del D.M. n.1444/68, si riferisce esclusivamente a pareti munite di finestre qualificabili come vedute e non ricomprende anche quelle su cui si aprono finestre cosiddette lucifere" (Consiglio di Stato n. 4451/2013).  Un edificio ha, dunque, una parete finestrata quanto vi sono delle aperture, che danno la possibilità di "prospicere e inspicere" e sono finalizzare a consentire il passaggio di luce ed aria

Altro argomento importante è ovviamente stabilire come si misura la distanza e da che punto dell’edificio. 

Anche su questi aspetti la giurisprudenza ci dà indicazioni ormai molto chiare: la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale. Non sono invece da computare - ai fini delle distanze - i c.d. sporti, cioè le sporgenze, i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni. Tali elementi devono però avere ridotte dimensioni, quando invece le  sporgenze, sono di dimensioni tali da estendere e ampliare l'intero fronte dell´edificio, esse devono essere calcolate nella distanza dei dieci metri.

Per pacifico orientamento giurisprudenziale la misura della distanza va fatta sempre in modo lineare e non radiale, sicché il criterio da adottare deve essere quello della prosecuzione grafica dell’allineamento dell’edificio preesistente alla nuova costruzione. Va altresì precisato che si considerano tra loro fronteggianti anche due edifici posti in posizione obliqua l’uno rispetto all’altro e su fronti opposti rispetto al confine, quando il prolungamento ideale delle linee che si dipartono dall’angolo in linea retta (cioè formando un angolo retto con la linea di confine) verso e oltre il confine va intersecare, anche in un solo punto l’edificio sito sul fronte opposto. 

Poiché la normativa appena ricordata ha natura imperativa - ed è volta a garantire diritti imprescindibili come la salute - anche le conseguenze della violazione sono decisamente gravi. La Cassazione, infatti, ha stabilito che nell’ipotesi di “costruzioni realizzate in violazione delle norme sulle distanze legali il diritto del vicino alla riduzione in pristino consegue ipso jure giacché, in considerazione delle finalità di natura pubblicistica perseguite dal legislatore, il giudice non ha alcun margine di accertamento e valutazione in ordine ai pregiudizi determinati dalla violazione delle relative disposizioni ed, in particolare, alla formazione di eventuali intercapedini.” (Cass. 213/06 ed inoltre Cass. 1296/06; Cass. 5222/98). La nuova costruzione dovrà dunque arretrare sino al rispetto della distanza assoluta dei dieci metri. 

È, dunque, buona regola per i costruttori accertare - con molta cura - sia le distanze dai confini che dalle costruzioni limitrofe (dotate di pareti finestrate) prima di individuare il sedime della nuova costruzione. 

Avv. Lorenza Guglielmoni http://www.carboneguglielmoniavvocati.it/

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